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giovedì 29 settembre 2011

RI-CICLI DEL DESIGN (a detta di un profano)

Ultimamente il design - ed in particolar modo la ricerca riguardante il design -  si sta focalizzando su un filone tematico che si sviluppa parallelamente a quello più mainstream (per capirci: le pubblicità di Cappellini, Flos,ecc.. che anche la Signora Cesira vede sulle riviste che fanno molto up to date).
Se da una parte continua il percorso creativo del design conosciuto ai più (utensili da cucina, divani, sedie, tavoli, luci...), dall'altra questo stesso percorso sta ri-scoprendo il riciclo ed il recupero come pratica progettuale.


Necessità (dopotutto le crisi impongono cambi anche repentini nelle pratiche quotidiane), stimolo creativo, sfida, opportunità, moda. Ognuno è libero di interpretarlo come preferisce, dopotutto anche il guru Starck (dopo anni passati a sguazzare nella plastica) si è riscoperto fervente ecologista.
E' però un dato di fatto che alcuni designer tra cui i celebri olandesi Droog  ( ma buoni segnali vengono anche dall'Italia  ) sono stati capaci di fare di necessità ,o ideali , virtù. Senza per questo perdere la vena ironica, ludica e giocosa che  a mio avviso  il buon design dovrebbe sempre considerare.
Con il progetto Rubbertree, la designer olandese Anne Marie van Splunter crea un playground coreografico per una scuola in Thailandia frequentata da bambini profughi; un "albero con radici lunghe ed in espansione offre un paesaggio aperto ed invitante su più livelli, spazi per esplorare e per muoversi". Il progetto, nonostante la funambolica struttura del telaio interno (scommetto che anche quei tubolari metallici saranno oggetto di riciclo ), è molto semplice. I pneumatici inutilizzati vengono recuperati e diventano strumento di gioco, perlopiù non contundente.





A prima vista l'ho trovato inquietante, poi ho subito pensato alla passione che provavo da bambino per i passaggi segreti, i giochi misteriosi e gli angolo nascosti: e se il design , in fondo, non fosse altro che un posto magico nel quale poter giocare? 

venerdì 23 settembre 2011

Mimetismo vestimentario. (Diffidate dalle imitazioni)




Sul blog del direttore (non intendo specificare direttore di cosa) è uscito oggi un post-ode alla nuova eleganza vista su un po' tutte le sfilate già a partire dalla collezione FW 11-12 (http://www.vogue.it/magazine/blog-del-direttore/2011/09/23-settembre
Non posso che essere d'accordo con il Direttore. Peraltro mi sono anche chiesta se il post fosse una necessaria recensione del mood imperante o fosse una frecciatina - si fa per dire il diminutivo- alla collega Anna Dello Russo. Purtroppo non conosco abbastanza bene i gossip circa i rapporti tra le due e posso solo immaginare odio represso e mascherato da sorrisi forzatissimi in ceramica splendente e zigomi rimpolpati con acido ialuronico ( i medici mi scusino). 

Non se ne può più di vedere blogger, socialite e tutti i vari tipi umani parte della fauna modaiola o aspirante  membro della suddetta tribù, nell'atto di travestirsi al solo scopo di farsi notare, fotografare per apparire su un qualunque blog, ammirare e additare ed essere assimilati ad Anna Piaggi. A casa mia si dice che queste persona ci credono un po' troppo. 


Forse ho la mente poco elastica e non vengo da una metropoli ma a casa mia si dice che bisogna farsi notare per quello che si dice e che si fa - di intelligente si spera- e non per quanto è appariscente una giacca o scollata una blusa. E non mi si parli di quanto l'abito faccia parte della presentazione del sé e sia un momento fondamentale nella costruzione dell'individuo e "sono quello che indosso" o "I buy therefore I am". Ho fatto una tesi specialistica in sociologia dalle moda e sociologia dei consumi quindi ho presente l'argomento.  
Quando vedo quei personaggi che "vorrei essere un hipster che dipinge con le mani, scrive musica alternativa utilizzando un Mac e delle pentole, inventa short story lunghe un tweet, ma purtroppo passo tutto il mio tempo a cercare di sembrarlo comprando camice a quadri in cotone organico e occhiali con la montatura in ebano da non avere più neanche un attimo per capire come si accende Garage Band" gli chiederei  se secondo la loro opinione il concetto di tarda modernità comprende o è assimilabile al concetto di modernità liquida. Mica vorrano fare gli intellettuali senza conoscere Featherstone o Bauman. C'est impossible! Non è che se indossi del feltro diventi di conseguenza Beuyes. 

Attenzione non parlo del travestitismo o di coloro che praticano performing art. Anna Piaggi è una giornalista, storia del costume e della moda, archivista e collezionista che avercene così! Così come anche Lady Gaga o Bjork che provengono da  mondi ben diversi si trovano a un livello differente. Collaborano con artisti, sono esse stesse delle artiste e il travestimento fa parte della performance che a volte arriva a coincidere con la loro stessa vita. 

L'abito fa il monaco sì, ma fino a un certo punto. A VOLTE, se non si valutano accuratamente il contesto, il messaggio che si vuole trasmettere e il destinatario si rischia di divenire solo ridicoli e un po' patetici. E non parlo di una kefiah, di una  tuta verde militare cinese, di un abito a lungo a fiori e di una spilla da balia. Ogni gruppo o tribù per distinguersi dalla comunità di provenienza e riconoscersi l'uno l'altro indossa una propria divisa, ma a volte si assiste a dei fenomeni di mimetismo- proprio come nel regno animale - e dei falsi membri assumono il travestimento del gruppo a cui ambiscono per esserne considerati tali. 
Ma d'altronde l'aveva già capito anche Simmel: le cameriere delle case alto-borghesi di primo Novecento imitano nel vestire le proprie padrone che a loro volta cambieranno modo di vestire per non essere scambiate con la servitù. E questa è la moda.

Ad ogni modo, vi lascio con un foglietto illustrativo su come sembrare un vero  hipster. Potete iniziare scrivendo i vostri testi in Helvetica. Purtoppo non ho trovato lo stesso vademecum per artistidi, indie, radical chic e gauche caviar.