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domenica 27 marzo 2011

La libertà di "Lusso"

Da qualche giorno nella città di Pechino non è più possibile utilizzare la parola "lusso" nei manifesti e nelle campagne pubblicitarie  promosse nella città. Si dice sia per evitare di creare aspettative  -inevitabilmente tradite- nei compratori delle migliaia di nuove abitazioni  che si propongono sulla carta come lussuose e altolocate mentre in realtà sono tutt'altro. La galassia di brand occidentali, che in Cina guadagna sempre più addicted e affezionati, non potrà più fregiarsi della parola e dell'universo semantico legato alla parola lusso. Concentrato di significati e valori a cui i sempre più numerosi nouveaux riches cinesi ambiscono e che i prodotti del fashion e del design occidentali rappresentano e di cui sono strumento ostentativo per dirla come Veblen. Forse è per questo che tra i maggiori nuovi collezionisti di arte compaiono sempre più cognomi cinesi. Oltre la moda, il design, l'arredamento e le automobili il vero lusso è possedere un'opera d'arte, unica o quasi. I nuovi milionari e miliardari cinesi imitano i consumi dei loro "compagni" (parola forse non troppo comunista per questi ragazzi nati all'alba della rivoluzione culturale) europei e americani. 
Dopo la censura sui concetti di democrazia e libertà, dopo le omissioni e i tagli sulle vicende dei monaci buddisti in Tibet anche il lusso finisce sotto l'accusa della commissione censoria cinese. 

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